giovedì 17 marzo 2011

Lavoro, nel biennio della crisi globale contratti a termine al 76% degli assunti


Su 14,3 milioni di nuovi rapporti di lavoro 11 milioni sono a tempo determinato

di ROBERTO MANIAROMA - La crisi ci lascia il "lavoro debole", il lavoro a tempo, il lavoro precario. Declinano i vecchi contratti standard a tempo indeterminato, con le sicurezze incorporate, e si impone il nuovo contratto con, invece, scadenza incorporata. E tanta insicurezza. Nel biennio horribilis, 2009-2010, della recessione globale il 76 per cento delle assunzioni è stato fatto utilizzando i contratti temporanei. Vuol dire più di tre assunzioni su quattro. Segno dell'instabilità del quadro economico ma forse anche della nuova via imboccata definitivamente dal mercato del lavoro. Vuol dire, molto probabilmente, che per i giovani (il cui tasso di disoccupazione è passato in meno di un decennio da circa il 23 per cento a quasi il 30 per cento) il lavoro continuerà ad essere una porta girevole, entrate e uscite. Senza stabilità. Lavoro debole, appunto.
Tra il mese di gennaio del 2009 e quello di giugno del 2010 sono stati attivati oltre 14,3 milioni di nuovirapporti di lavoro. Circa 3,4 milioni sono nati con "buone" tipologie contrattuali (contratti a tempo indeterminato e contratti di apprendistato) e circa 11 milioni con contratti "deboli" (a tempo determinato, collaborazioni, contratti di inserimento e altri). In percentuale è andata così: il 76,1 per cento con contratti deboli (66,3 per cento a tempo, 8,6 con collaborazioni, l'1,2 con le altre tipologie), il 20,8 per cento con contratti standard a tempo indeterminato e il 3,1 per cento attraverso l'apprendistato.Le comunicazioni obbligatorie permettono anche di distinguere tra nord, sud e centro. È il settentrione che ricorre di più alle "buone" forme contrattuali (1,6 milioni nel periodo considerato), seguito dal sud (1,1 milioni) e, infine, dalle regioni centrali con 751 mila contratti. E sono le donne che subiscono di più i contratti a termine: dei 7,1 milioni di nuovi rapporti attivati con le donne, il 78,4 per cento è avvenuto con contratti precari contro il 73,4 per cento degli uomini.

La riprova di un mercato del lavoro a porte girevoli arriva dai dati relativi alle cessazioni dei contratti: il 68 per cento (pari a circa 9 milioni di contratti) riguarda quelli "deboli"
(64 per cento sono i contratti a tempo determinato), a fronte di circa 4,1 milioni di cessazioni di contratti standard. In testa il nord (41,7 per cento), seguito dal sud (34 per cento) e dal centro (24,3 per cento). Ma ad essere licenziati pur avendo un contratto stabile sono soprattutto gli uomini: 6,7 milioni contro i 6,4 milioni al femminile. Un dato - secondo la Uil - "strettamente connesso al maggior utilizzo per le donne dei contratti temporanei". Tanto che, infatti, in questa tipologia di contratti, i licenziamenti delle donne costituiscono il 79,1 per cento contro il restante 69 per cento degli uomini.

L'instabilità dei rapporti di lavoro si ricava anche da un altro dato impressionante: solo il 18,4 per cento dei contratti cessati hanno avuto una durata superiore a un anno.

Ma cambia nel mercato del lavoro italiano anche l'apporto della manodopera straniera. Non solo in termini quantitativi ma anche sotto il profilo qualitativo. Evidentemente per la forte domanda di servizi alla persona ben il 40,6 per cento dei rapporti con lavoratori non italiani nasce attraverso un contratto a tempo indeterminato. È l'Italia invecchiata, post-industriale e dal lavoro oramai diventato debole.

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